CHIESA DI S. MARIA DI PARADISO
CANTIERE ARCHEOLOGICO 2000
Relazione dei Lavori Archeologici Relatore: dott. Fabrizio Fanari
INTRODUZIONE
La chiesa rurale di Santa Maria di Paradisoè ubicata all’ingresso di Vallermosa, (TAV. I) a circa 200 metri a sinistra di chi percorre la S.S. 293 provenendo dal bivio della S.S. 196 in località s’Acqua Cotta. La località era nota nel medioevo come Curte Picta di Pau: si trattava di un piccolo villaggio, pertinente alla villa di Pau ‘e Susu. A Vallermosa sono note dalle fonti medievali anche le ville di Pau Jossu, nei pressi del colle di S. Lucifero, e di Fanari Jossu e Fanari Susu. (ASOLE 1975) Quest’ultima venne edificata attorno all’imponente nuraghe complesso noto come su Casteddu ‘e Fanaris, posto su un’altura al confine con il comune di Decimoputzu. (TAVV. I-II-III). Vallermosa è nota agli archeologici sin dalla fine dell’800, quando vennero scoperti alcuni pozzi sacri di età nuragica nella zona montuosa di questo comune, in località Matzanni. (TAVV. IV-V-VI)
Per quanto riguarda l’età romana, i resti più consistenti oggi noti sono quelli conservati nelle strutture della chiesetta di S. Maria. La costruzione attuale sfrutta infatti alcune delle murature originarie di un edificio termale di età imperiale romana, costruito presumibilmente tra il II e il III secolo dopo Cristo, visti i confronti con altre strutture simili della Sardegna. (PAUTASSO 1985) (TAVV. VII-VIII)
Parte degli ambienti termali erano stati scavati, con metodi sbrigativi, da un ecclesiastico locale, Antonino Figus, all’inizio degli anni ’60 (FIGUS 1961): la terra di riporto, proveniente da quell’intervento, prima del nostro scavo, era ancora ammucchiata intorno alle strutture da lui messe in luce.
Nel periodo tra marzo e maggio 2000 ha avuto luogo un nuovo intervento di scavo archeologico e di sistemazione dell’area. Si è trattato di un lavoro eseguito in economia, diretto dallo scrivente Fabrizio Fanari in veste di archeologo, con l’ausilio di quattro operai. La direzione scientifica, per conto della Soprintendenza Archeologica per le Province di Cagliari e Oristano, è stata curata dalla dott.ssa Maurizia Canepa, Ispettore Archeologo, e dal sig. Marco Piras, assistente.
Lo scopo principale dell’intervento era quello di rimuovere le discariche di terra e materiale edilizio, accumulatosi nel corso dei decenni con i vari lavori di ristrutturazione della chiesa, e di allargare l’area di scavo. Si è reso inoltre necessario il taglio di alcune piante di eucalipto, che prosperando vicino alle strutture rischiavano ormai di comprometterne l’integrità.
L’effettuazione di questi lavori ha così offerto l’opportunità di approfondire la conoscenza dell’edificio più antico, permettendo alla fine di ricostruire sulla carta l’intera planimetria dell’edificio, dall’età romana a quella contemporanea. (TAV.XXXI)
LE TERME ROMANE DI S. MARIA: IL CANTIERE 2000
Il nostro intervento archeologico è iniziato con la completa asportazione, in tutta l’area perimetrale della chiesa moderna, degli accumuli di macerie e di terra, risultanti dai vari interventi edilizi degli ultimi decenni. La chiesa, come oggi appare, è il risultato di una completa ricostruzione avvenuta nel 1926, quando venne demolita, o meglio finita di demolire, la struttura precedente. Lo scavo archeologico ha permesso di ricostruire a grandi linee le fasi di costruzione di quest’ultima. Per realizzare le fondazioni della nuova chiesetta, si procedette a una sorta di scavo a scopo cognitivo, lungo il perimetro della struttura termale. I muri in miglior stato di conservazione vennero sfruttati come fondazione, mentre nei lati sprovvisti di murature antiche vennero scavate delle trincee, poi riempite da grossi blocchi di calcestruzzo romano, provenienti dal crollo delle terme. Vennero invece inglobate nella struttura i muri conservati in elevato, per fortuna non intonacati durante l’ultimo intervento di restauro: sono visibili sia nella parte esterna, che in quella interna. (TAV. XXIX) Lungo il perimetro della chiesa attuale sono stati individuati alcuni battuti di calce: si tratta di fosse per lo spegnimento della calce, che all’epoca avveniva ancora in cantiere, non essendo disponibile il materiale pronto all’impasto come avviene oggi. In una di queste erano stati utilizzati, come sottofondo, delle tegole romane. Gli interventi successivi, avvenuti con lo scavo di Antonino Figus all’inizio degli anni ’60, hanno finito di sconvolgere gli strati archeologici. L’area dove anticamente erano gli ambienti riscaldati delle terme, non presenta più alcuna traccia del piano originario, ma è visibile soltanto il sottofondo di terra e ghiaia. Dopo gli anni ’60 è stata smantellata la sagrestia, costruita all’interno dell’apodyterium-frigidarium: di questa, ubicata in corrispondenza dell’uscita laterale della chiesa, rimaneva soltanto la fondazione di un muro e le trincee di costruzione dello stesso. Anche gli ultimi interventi di ristrutturazione hanno in interessato gli strati più antichi, come ha mostrato il ritrovamento di materiale recentissimi (plastica, vetro, ecc.), anche a quote di una certa profondità.
2. Il santuario di etaragonese e sabauda
Siamo informati, grazie ai registri parrocchiali relativi a Vallermosa, di alcune donazioni destinate alla ristrutturazione della chiesa, a partire dalla fine del XVII secolo. Una di queste, datata 1678, disponeva la costruzione di un loggiato, davanti all’ingresso del santuario (FIGUS 1961,p.38). Altre donazioni, destinate a restauri di una chiesa sempre più fatiscente, sono testimoniate sino agli inizi del ‘900, quando di decise di demolire tutto ciò che rimaneva di vecchio, e ricostruire ex-novo l’intera struttura. Gli scavi archeologici hanno permesso di riconoscere alcuni resti edilizi, che ci permettono di precisare le indicazioni di tipo orale sulla vecchia costruzione.
All’esterno dellメedificio termale sono emersi i resti del loggiato: è visibile la fondazione di un muro in pietre e malta di fango, connesso a un pavimento in cotto (mattonelle di circa cm. 20x20). (TAV. XXVIII) All’interno delle terme, nell’apodyterium-frigidarium, in corrispondenza della vasca quadrata per l’acqua fredda, è venuto alla luce un pavimento realizzato con mattonelle uguali a quelle individuate all’esterno, per cui è plausibile ipotizzare la contemporaneità delle due costruzioni. (TAV. X) Sono poste in opera direttamente, senza alcuna malta, su uno strato di terra pressata, poggiato sul fondo in calcestruzzo della vasca romana. E’ invece difficile stabilire se la porta dメingresso, realizzata demolendo la muratura sottostante ad una originaria finestra delle terme, sia avvenuta in quest’epoca, o risalga a ristrutturazioni più antiche. All’interno dell’ambiente rimane traccia di una piccola porzione di un muro di terra, mattoni e pietre, che presenta anche tracce di intonaco. Da quanto ci è dato sapere dai ricordi degli anziani, più che di un muro si tratterebbe del basamento di un bancone che correva lungo il muro di fondo della chiesa, sino all’altare. Lo stesso tipo di intonaco è presente anche all’interno della vasca quadrata, dove si sovrappone all’originario intonaco idraulico romano. Anche le nicchie laterali, risalenti all’impianto originario delle terme, presentano tracce di intonaco, e vennero presumibilmente utilizzate per immagini di culto. (TAV. XIX)
All’interno della chiesa attuale, nel 1961, Antonino Figus aveva effettuato tre saggi, poi ricoperti, per controllare se le murature romane erano collegate tra loro, nei due settori visibili all’esterno. (XXVI) Abbiamo riportato alla luce i vecchi scavi, approfondendoli: oltre a verificare la continuità delle strutture romane, abbiamo individuato la presenza di una sepoltura, costituita da un inumato poggiato sul terreno e delimitato da laterizi. La limitata estensione del saggio non permette precise indicazioni sull’età della tomba. Altri resti umani sono emersi, non in posizione originaria, ma ributtati nel terreno, provenienti probabilmente da altri punti dell’area. Da notare una sorta di recinto, con resti di inumati. Si è preferito ricoprire quest’area, in prospettiva di interventi successivi. Soltanto un scavo accurato, eseguito da antropologi, potrebbe darci indicazioni più precise su queste sepolture: abbiamo comunque notizia di testamenti, risalenti al ‘600, di benefattori del luogo che chiedevano il permesso di essere lì sepolti. (TAV. XXVII)
3. Tra il medioevo e l’età moderna.
Gli scavi archeologici hanno permesso di individuare il riuso delle strutture romane e altomedievali per attività produttive, delle quali al momento non è facile riconoscere una precisa cronologia, ma che la stratigrafia riconoscibile ci indirizza al periodo che intercorre tra la il luogo di culto moderno e quello paleocristiano. Le murature antiche vennero in parte demolite per far posto a forni o focolari, dove lo scavo ha rilevato la presenza di materiali di fusione, come piombo e vetro e conglomerati ferrosi. Si è evidenziata anche la presenza di recinti circolari in pietrame e terra, forse destinati al bestiame domestico, come suggerirebbe la grande quantità di ossa animali rinvenute al suo interno. (TAVV. XXXI, XXIV, XXV)
Lo scavo archeologico di S. Maria ha fornito indizi importanti sul periodo che vide il passaggio dal culto pagano ufficiale a quello cristiano. Con la caduta dell’Impero Romano d’Occidente, la conseguente crisi economica portò all’impossibilità di tenere in funzione strutture pubbliche costose come quelle termali, che andarono ben presto in rovina per mancanza di manutenzione. Contemporaneamente, con il diffondersi del Cristianesimo, la popolazione ebbe la necessità di trovare spazi adeguati per le riunioni di culto: le possenti murature in calcestruzzo delle terme, ormai non più in esercizio, erano il luogo ideale per effettuare questa trasformazione. Come le terme furono, in età romana imperiale, il principale punto di incontro per i cittadini romani, così con l’avvento del Cristianesimo esse si trasformarono nell’edificio più adatto per la riunione dei fedeli. Fu così che a S. Maria, come in altre località della Sardegna, vennero eliminate le vasche per i bagni, e lo spazio venne ampliato per accogliere il maggior numero di persone, mentre i pavimenti sopraelevati per il passaggio del calore furono smantellati e portati ad un piano più basso. Forse a questa fase risale il tamponamento di un’apertura esistente nella struttura originaria.
Fu costruita all’interno, nella zona di ingresso alle terme, unanuova vasca (TAV. XVII): si tratta di una costruzione a forma di conchiglia, intonacata all’interno, e caratterizzata dal riutilizzo di mattoni romani negli spigoli. Si tratta probabilmente di un battistero, dove un gradino (TAV. XVIII) aiutava il fedele a scendere in acqua, per effettuare il sacramento del battesimo, che in quell’epoca si effettuava con la completa immersione. Potrebbe risalire a questo periodo anche la porzione di pavimento intorno al battistero, costituito da uno spesso strato di calce, poggiato su terra pressata. E’ difficile al momento ricostruire quale fosse la planimetria dell’edificio di culto, per la quale al momento dovremo basarci della posizione del battistero rispetto alla pianta originaria delle terme. (TAV. XXXV). Probabilmente risale a quest’epoca la demolizione della vasca quadrata, per ampliare e regolarizzare il pavimento della chiesa. (TAV. XXXVI)
Molto interessante, dal punto di vista cronologico, si è rivelato invece lo svuotamento della vasca del battistero, che è da considerare l’unico strato archeologico intatto riconosciuto durante il nostro intervento. In questo strato sono stati rinvenuti gli unici reperti archeologici di grosse dimensioni ritrovati in questo scavo, che indicherebbero un riempimento avvenuto in tempi non lontani dalla loro fabbricazione: oltre a numerosi frammenti di pentole da cucina, sono presenti anfore di fabbricazione vicino orientale, databili tra il V e il VII sec. a.C., e la parte superiore di un vaso decorato con scanalature ondulate. Da questo riempimento proviene l’unico pezzo lavorato di marmo trovato. Ad età paleocristiana sono probabilmente da riferire frammenti ceramici rinvenuti negli strati sconvolti: la ceramica sigillata africana (frammenti di ヤbeccoヤ e di presa di lucerna con simboli cristiani (TAV. XXX) e di recipienti aperti), i vetri (frammenti di ampolla, di piede di coppetta e di coppa, orlo di bicchiere, numerosi resti di vetrate), la ceramica モsteccataヤ e incisa, e molti frammenti di pentole da cucina.
4. Le terme romane
L’intervento di scavo da noi condotto ha permesso di ricostruire in modo pressoché completo la planimetria dell’impianto termale di età romana imperiale.(TAV. XXXII) Abbiamo davanti un bell’esempio di muratura in opus vittatum mixtum, tipica della piena età imperiale.
I paramenti murari, sia all’esterno che all’interno, erano realizzati con due file orizzontali di mattoni, alternata ad una fila di blocchetti di tufo: soltanto negli spigoli venivano usati esclusivamente mattoni. Il nucleo centrale trai i due paramenti era riempito con pietrame rozzo di varie dimensioni, il tutto annegato in un impasto di calce, pozzolana, ghiaia e sabbia.
Il settore meglio riconoscibile è quello dell’ingresso, (TAV. XXXIV), dotato di due vasche per lメacqua fredda, una a destra, di pianta quadrata, e uno a sinistra, semicircolare. (TAV. X) Si tratta di un ambiente che in termini tecnici viene denominato apodyterium (ingresso) e frigidarium (luogo per i bagni in acqua fredda).
Possediamo anche buoni indizi per capire quali fossero le coperture di questo primo ambiente. Sono infatti conservati in elevato o nel basamento, i pilastri in calcestruzzo che sorreggevano la volta a botte della vasca e, probabilmente, anche dell’ingresso.
La destinazione balnearia di questo ambiente è dimostrata dalla presenza, nelle due vasche laterali, di un tipico intonaco idraulico, costituito da un impasto di calce, sabbia, ghiaia e frammenti minuti di terracotta. Si tratta di una delle migliori realizzazioni della tecnica edilizia romana, capace di sfidare i millenni anche nelle località più soggette alle intemperie. Rimane qualche traccia, presso i pilastri, del pavimento originario.
Il sistema idraulico di smaltimento delle acque utilizzate nei bagni è senza dubbio il settore meglio conservato in questo edificio. Le condotte idriche, inutilizzate sin dalla fase paleocristiana, rimasero coperte sotto i nuovi piani di calpestio, senza mai essere intaccate sino ai giorni nostri, e grazia alla loro posizione interrata si sono conservate intatte.
Possiamo osservare lo scarico della vasca rettangolare, con ancora in situ il tubo di terracotta, e la canaletta in pietra e calce ricoperta da mattoni orizzontali.
Superata la soglia dellメingresso, il canale cambiava il tipo di copertura: al posto dei mattoni orizzontali troviamo i mattoni accoppiati obliqui (sistema alla “cappuccina”). Il canale effettuava verso l’esterno un’ampia curva, e scaricava sul terreno l’acqua sporca, forse con destinazione irrigua. Infatti, al centro dell’apodyterium, è presente un pozzetto che poteva indirizzare lo scarico dell’acqua anche nel lato opposto, presso la vasca semicircolare, dotata anch’essa di tubo di scarico. (TAVV. XI-XII-XIII-XIV-XV-XXXIII)
Interessante è l’uso dei laterizi: sia le tegole che i mattoni appartengono alla stessa fabbrica, caratterizzate oltre che dalla stessa argilla da una particolare incisione a tripla “V”. (TAV. XVI)
Al di sotto della chiesa moderna è celato il passaggio dal settore di ingresso a quello destinato ai bagni caldi e alla sauna. Si nota infatti un netto dislivello trai i piani antichi di calpestio dell’ingresso, di cui restano tracce nei plinti dei pilastri, (TAV. IX) e il piano di fondazione delle strutture conservate oltre l’altro lato della chiesa moderna. (TAV. XX) Ciò è spiegabile con la presenza originaria, in questo settore, di un pavimento rialzato, sorretto da pilastrini, che lasciavano aperta un’intercapedine che permetteva il passaggio dell’aria calda. Di tutto questo, non rimane oggi alcuna traccia, a causa delle ristrutturazioni avvenute in tempi successivi: è conservato soltanto il piano di posa dei vani rialzati. La destinazione a zona riscaldata è dimostrata dalla grande quantità di tegole mammate, un tipo particolare di laterizio che, applicato alle murature verticali, creava un’ulteriore intercapedine per il flusso del calore. E’ inoltre ben distinguibile, elemento tipico di tutte le strutture termali, l’imboccatura del forno per il riscaldamento degli ambienti, di cui uno absidato. (TAVV. XXI-XXII)
I reperti ceramici, in questa prima fase, sono piuttosto scarsi, anche perché un ambiente termale non era certo il luogo adatto per depositarvi dei manufatti d’uso comune. Possiamo comunque riconoscere una lucerna a vasca circolare, un contenitore con orlo decorato a rilievo, un frammento di ceramica モfiammataヤ.
Risale sicuramente alla prima fase edilizia un ambiente rettangolare, con ingresso indipendente dal resto dell’edificio. Il pavimento è realizzato con mattoni interi, o tagliati a misura: il fatto che la loro messa in opera continui anche al di là dell’ingresso, senza soglia, farebbe pensare ad una ristrutturazione successiva. (TAV. XXIII)
Non è invece possibile al momento capire dove fossero ubicate eventuali vasca per l’acqua calda, vista la totale asportazione delle strutture in elevato di questo settore. Non è da escludere che uno scavo al di sotto del pavimento della chiesa non possa aiutarci in questo senso.
Un altro aspetto che non si è potuto chiarire in questo intervento è quello che riguarda l’approvvigionamento idrico delle terme: un saggio approfondito presso il pozzo oggi visibile non ha portato alcun risultato, se non la presenza di una grande quantità di ceramiche comuni e di laterizi, caratterizzati da forte dilavamento.
LE TERME ROMANE DI S. MARIA: RICOSTRUZIONE STORICA
Il nostro intervento di valorizzazione delle terme romane di S. Maria ha permesso di acquisire nuovi dati sulla continuità d’uso delle strutture termali rurali in Sardegna, dall’età paleocristiana sino ai giorni nostri. Mentre sono note al grande pubblico, oltre che allo specialista, le grandi città costiere fenicio-puniche e romane dell’isola, sono ancora purtroppo poco o nulla conosciuti e valorizzati gli antichi abitati rurali. A Vallermosa è stato possibile individuare alcuni punti fondamentali per approfondire le conoscenze sulla nostra storia, in quel periodo che vide prima lo splendore e poi la caduta dell’impero romano, e quindi il divulgarsi del cristianesimo e il nascere delle “ville” rurali che hanno poi dato luogo alle comunità odierne.
Le vicende storiche dell’insediamento di S. Maria possono riassumersi come segue:
- - tra il II e il III secolo d.C., il governo di Roma favorì numerosi interventi di edificazione pubblica e privata, capillare in tutte le sue Province: di questi la nostra struttura termale è un chiaro esempio. In essa possiamo ammirare la raffinatezza delle tecniche murarie, e in particolar modo le elevate conoscenze degli ingegneri romani nella scienza idraulica ;
- - in un periodo probabilmente successivo al IV secolo d.C. l’ambiente termale venne trasformato in luogo di culto paleocristiano. Ciò è testimoniato da un primitivo battistero, poi abbandonato e colmato con materiali databili entro il VI-VII secolo a.C. ;
- - durante il medioevo il sito continuò ad essere frequentato: dopo l’anno mille abbiamo notizie di una comunità monastica e di una popolazione rurale che vi aveva sede, ma al momento è difficile ricollegare i resti archeologici a precise fasi culturali. Sicuramente le vecchie strutture vennero utilizzate anche per attività lavorative di vario genere, come mostrerebbero i resti di forni e di materiali di fusione (piombo, ferro, vetro), e di allevamento (recinti in pietra, grandi quantità di ossa di animali domestici e selvatici) ;
- - a partire dal ‘600 siamo informati della presenza di un luogo di culto nel luogo, testimoniato da donazioni per restauri e rifacimenti del santuario. In quel periodo alcune persone chiedevano anche di essere seppellite in questo luogo ;
- - nel 1926 venne costruita la chiesa campestre, di cui quella odierna conserva in buona parte la struttura. In quell’occasione ebbe luogo un pesante sconvolgimento degli strati archeologici, poi ulteriormente stravolti dall’intervento del Figus nel 1961. Nonostante tutto questo, sono proprio le strutture antiche quelle meglio conservate.
IPOTESI DI VALORIZZAZIONE DEL SITO ARCHEOLOGICO DI S. MARIA
Il primo intervento archeologico a S. Maria ha lasciato aperte numerose possibilità di sviluppo dei lavori:
1- dal punto di vista scientifico, il prosieguo degli scavi archeologici porterebbe ulteriori contributi alle conoscenze storiche sulla Sardegna romana e medievale. Il ritrovamento di numerosi reperti archeologici, in quantità eccessiva rispetto ad un’area apparentemente limitata come quella indagata, suggeriscono che intorno ad essa doveva esistere un agglomerato civile di notevoli dimensioni, tutto ancora da scoprire. In particolar modo, sarà possibile approfondire lo studio dei sistemi di vita delle popolazioni del basso e alto medioevo, ancora oggi poco conosciuti.
2 - dal punto di vista didattico e culturale, un’adeguata sistemazione dell’area archeologica renderebbe fruibile a tutti un esempio, raro nel suo genere, di struttura antica leggibile in tutto il suo sviluppo edilizio e culturale. Sono infatti perfettamente conservati, oltre alle murature originarie, i sistemi di canalizzazione e di riscaldamento dell’impianto termale romano.
Sono inoltre ben visibili i successivi adattamenti dell’edificio a luogo di culto paleocristiano, trai i quali spicca un raro esempio di battistero arcaico. Intorno alla chiesa primitiva sono state individuate anche delle sepoltura, ancora da indagare. A tale scopo si rendono necessari dei lavori urgenti di consolidamento e protezione delle strutture più deperibili, molte delle quali sono state provvisoriamente ricoperte, per preservarle da un’inevitabile degrado. Sarebbe opportuna anche la sistemazione nell’area di cartelli didascalici, dove verranno rappresentati grafici e ricostruzioni, indispensabili per rendere chiara al visitatore la lettura dell’edificio.
3- per quanto riguarda la sicurezza, sia del visitatore che del monumento stesso, sarebbe necessario studiare un percorso di visita adeguato, che allo stessa tempo renda visibili le strutture e protegga quelle più deperibili. E’ auspicabile anche un deciso intervento di sistemazione a verde, che contempli contemporaneamente all’eliminazione delle piante di eucalipto ancora presenti, fonte di pericolo per qualunque tipo di costruzione, la piantumazione di essenze autoctone più consone all’ambiente e meno dannose per le strutture.
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