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la scoperta del sito

 

 

In un articolo apparso sul periodico “il provinciale” C. Bettini afferma che chi si recasse nello splendido parco montano di Matzanni  solo per vedere i pozzi sacri resterebbe parecchio deluso se non fosse sorretto dalla fantasia necessaria per immaginare convegni nuragici e processioni di persone che venivano sull’ altipiano per il rito dell’ ordalia o per curare i propri malanni con i riti delle acque sacre.

Oggi i visitatori hanno bisogno di una dose ulteriore di fantasia in quanto i pozzi sono abbandonati alla mercè di persone che li utilizzano come ripostiglio per  un bivacco o continuano a scavare rovinando il poco che ancora resta. Anche il tempo e la natura fanno il loro corso non sempre favorevole:le infiltrazioni d’ acqua hanno arrecato parecchi danni ad un pozzo e minacciano di far crollare definitivamente una parete che , rispetto a qualche anno fa si è inclinata pericolosamente.

Ma armiamoci dunque di fantasia e, sulla base della situazione esistente facciamo un viaggio nel mondo di Matzanni,nel mondo dei protosardi.

La scoperta del sito archeologico

 

La località denominata Matzanni o Matzani è stata per millenni solo un magro pascolo per capre.

Nel 1892 alcuni pastori riuscirono ad intravedere tra gli sterpi che coprivano tutta la zona delle costruzioni semisepolte di incerta tipologia.

Ad un esame più accurato apparvero delle strutture che i pastori non seppero identificare.

A Villacidro, paese di origine dei pastori vennero organizzate delle spedizioni di ricercatori di tesori che incominciarono subito a scavare .

La notizia divenne di dominio pubblico e allora alcuni ricchi possidenti organizzarono le ricerche in maniera organica e per così dire “legale” facendo formale richiesta alle autorità competenti per l’ autorizzazione a compiere scavi nella località

Gli scavi condotti con metodi alquanto sbrigativi diedero tuttavia dei risultati in termini di ritrovamento di oggetti:monete,vasi,e suppellettili varie.

L’ispettore responsabile, venuto a sapere degli scavi e dei ritrovamenti ordinò la sospensione dei lavori e la consegna del materiale.

Inutilmente.

La notizia degli scavi arrivò anche a Vallermosa ove il sindaco locale ,verificata l’ appartenenza di Matzanni al territorio di Vallermosa ordinò la sospensione dei lavori e fece intervenire la forza pubblica contro gli scavatori più o meno clandestini.

Questi fecero resistenza e si appellarono anche alle massime autorità,a quanto sembra anche al re.

Al momento non si conosce l'esito della diatriba in quanto la documentazione relativa è in gran parte perduta.

La disputa territoriale continuò per lungo tempo.

L'otto agosto del 1897 la giunta municipale di Vallermosa si riunì con all' ordine del giorno la verifica del confine territoriale con il comune di Villacidro.

Tale riunione si era resa necessaria in quanto il prefetto sollecitava una presa di posizione dell'amministrazione.

Il sindaco di Villacidro (personalmente interessato agli scavi ) aveva più volte protestato e si batteva per la ridefinizione dei confini.

In detta riunione la giunta decideva di affidare a degli “operatori catastali”la soluzione del problema:uno di fiducia della amministrazione di Vallermosa e uno di fiducia di quella di Villacidro.

La verifica sul campo a data da destinarsi...

Intanto...

I reperti ritrovati sparirono dalla circolazione ,solo due di essi furono consegnati nelle mani del Lovisato  un bronzetto  denominato “Barbetta” e una ciotola di bronzo dorato.

 

Le ricerche di Lovisato

Il lovisato chiama i pozzi “favisse”e li ritiene probabilmente cartaginesi.Onestamente rifiuta di fare illazioni sulla loro “essenza”,li ritiene  una sorta di deposito ad uso religioso.

Visitò la  zona nel giugno del 1898 e trovò i monumenti manomessi e rovinati dai cercatori di tesori .

L’anno appresso  iniziò una serie di scavi. Iniziò a controllare dei rialzi, dei mucchi di pietre sotto i quali trovò dei resti di terracotta grossolana “ dei tempi dei nuraghi”.In effetti  qualche dubbio sull’ origine cartaginese  dei pozzi l’ aveva e forse fu proprio il ritrovamento della ceramica nuragica a crearglielo.

Sperava di trovare dei nuraghi sotto i “cumuli “ di pietre.Ad appena un metro di profondità trovò la roccia viva schistosa affiorante.

Deluso dai cumuli si diede  a ripulire l’ entrata dei pozzi che non esplorò fino in fondo perché pieni d’ acqua.

Ripulì due pozzi li misurò , li descrisse e ne fece uno schizzo che servì di base agli altri ricercatori che in seguito si dedicarono a studiare i monumenti di Matzanni.

Notò che la scala di uno di essi era eccentrica rispetto all’ asse del pozzo e che si restringeva verso il pozzo quasi a forma di cuneo.

La cupola sembrava ben conservata , la parte superiore aperta.

Misurò il diametro di base di tre metri e l’ altezza di circa 5,5 metri.

Del secondo pozzo notò che la scala era ben conservata dal lato destro mentre era già rovinata sul lato sinistro.

Analizzando l’ argilla estratta notò dei residui di “carbonato di rame”sotto forma di chiazze azzurre

Tali residui furono in seguito spiegati come tracce di oggetti in bronzo consumate o asportate.

Il Lovisato in seguito (ricorda anche la data: 6 ottobre 1898 )ricevette in dono dai villacidresi alcuni degli oggetti ritrovati ,il bronzetto rappresentante un offerente, una ciotola di bronzo dorato e una moneta ben conservata, oggetti che descrisse con dovizia di particolari .

Del bronzetto nota anche la base che conservava tracce di piombo e tracce del basamento su cui era imperniato per mezzo del piombo stesso.

La descrizione della ciotola è minuziosa nei particolari e si inoltra anche a spiegare la possibile tecnica di doratura usata nell’antichità per mezzo dell’ amalgama.

Il Lovisato si spinge a dare una datazione alla ciotola e l’ attribuisce al periodo bizantino.

Della moneta “bene conservata” si conosce con precisione il periodo perché riporta la scritta ANTONINUS AUG.PIUS.P.P.

Parlando di altro materiale ritrovato dai “tombaroli “ cita altri vari oggetti di bronzo  di cui non conosce la destinazione : parla di una lancia spezzata per appurare la sua eventualmente la sua natura aurea e di Parecchi vasi e utensili in terracotta che furono spezzati tutti per controllare il loro interno.

Il Lovisato si rammarica di non essere arrivato in tempo per impedire lo scempio:gli oggetti infatti avrebbero potuto far luce sulla funzione dei monumenti ritrovati.

L'autore descrive anche un altarino o frammento di colonna di cui fece un preciso disegno e che già durante la sua seconda visita era scomparso. Da allora nulla si è più saputo dell’oggetto in questione.

 Restò inoltre colpito dalla presenza, non lontano dai pozzi di un masso di calcare bianco di natura diversa  da quella delle pietre dei pozzi  e dell’ altarino.

 

Petazzoni e le sue riflessioni sull’ uso e la funzione dei templi a pozzo.

 

R.Petazzoni, grande storico delle religioni scrisse un testo fondamentale per l' interpretazione delle antiche usanze religiose e civili della nostra isola (religione primitiva in Sardegna)-Lesse quanto scritto dal Lovisato sui pozzi di Matzanni e si recò personalmente a visitare la località.

Qualcuno sostiene che sia stata proprio la visita ai pozzi sacri di Matzanni a dargli l'ispirazione per la stesura del suo libro.

Il Petazzoni considera i pozzi (2) di Matzanni (da lui chiamati “Tholoi “) “non meno interessanti” dei pozzi di S.Cristina e consimili.

Riprendendo le considerazioni del Lovisato corregge il fatto che le costruzioni potessero essere cartaginesi e attribuisce loro una funzione importante come santuari dell’età nuragica.

I pozzi sacri, santuari , sono dal Petazzoni studiati nel contesto della religione primitiva in Sardegna e inseriti appieno nel clima magico-religioso cui era improntata tutta la vita sociale e politica dei protosardi:

 

I Pozzi-santuari

 

I pozzi erano sede di culto e di antiche cerimonie come l’ ordalia o giudizio di Dio,’incubazione e l’uso terapeutico delle acque sacre.

Gli antichi resti di costruzioni tra un pozzo e l’altro che il Lovisato ritenne genericamente dei nuraghi furono dal Petazzoni giudicate capanne ad uso dei sacerdoti o dei fedeli,  ricoveri nei pressi delle mete dei pellegrini.

I pozzi furono giudicati piuttosto dei serbatoi che sorgenti.

Tali depositi gelosamente custoditi contenevano l’acqua magica, che effettuava prodigi e guarigioni.

Si guariva dal mal d’ossa, dalle punture d'insetti velenosi.

 

Ordalia

 

Con l’acqua lustrale si praticava l’ordalia in occasione delle feste e riunioni dei fedeli del circondario

L’ordalia era il “Giudizio di Dio”, in pratica una cerimonia in cui veniva appurata la colpevolezza di un imputato.

.Curiosamente l’imputazione più frequente doveva essere quella dell’abigeato!

Perlomeno il furto è il crimine riportato dagli autori antichi, per il quale più spesso veniva effettuato il rito dell’ordalia.

L’ordalia antica è essenzialmente di due tipi

  • Un mezzo dannoso (Fuoco) non provoca danno all’innocente-
  • Un mezzo innocuo (acqua) provoca danni al colpevole-

Il Petazzoni ritiene che l’ordalia praticata in Sardegna fosse di questo secondo tipo, dal nostro punto di vista favorevole al condannato:

Se l’acqua non gli danneggiava gli occhi era giudicato innocente.

Anzi riceveva un miglioramento delle sue facoltà visive.

I bronzetti che rappresentano personaggi con quattro occhi sarebbero ex voto e rappresenterebbero l’incremento visivo ottenuto con le acque sacre, in occasione di una ordalia o di una semplice “cura”.

Dall’ordalia al giuramento

Il giudizio delle acque evolve poi in una forma di giuramento che ha lo stesso effetto e che sostituisce il rito vero e proprio.

All’inizio il rito ordalico consisteva nella cerimonia dell’uso dell’acqua magica che provava la colpevolezza del reo: la prova coincideva con la pena, il colpevole era punito con la cecità che era naturalmente prova di colpevolezza.

In seguito l’ordalia evolve nel giuramento ordalico:

Le parole della formula sostituiscono la materia (l’acqua): che diventi cieco se sono colpevole;

In questa seconda fase è forse ancora presente anche il luogo sacro (il santuario) e la materia (l’acqua).

In una fase successiva il giuramento diviene prova in sé.

Può sembrare troppo comodo, in realtà bisogna calarsi nell’ambiente e nel clima di fede del periodo in questione: ma il terrore per la punizione “divina”dello spergiuro era sufficiente per elevare il valore del giuramento e renderlo assoluto.

In questa terza fase la materia e il luogo diventano superfluiessendo sufficiente la forma del giuramento.

 

Religione naturalistico-animista

 

La religione praticata nei santuari e negli altri luoghi di culto era di tipo naturalistico-.

Animista: oltre il culto delle acque veniva praticato anche il rito dell’incubazione; anche per questa pratica il fine principale era terapeutico.

L’incubazione consisteva nel dormire in un luogo consacrato.

Lo scopo era di aver contatti onirici con divinità o eroi divinizzati per avere indicazioni sui rimedi contro qualche malattia.

L’incubazione aveva anche un secondo fine: quello mantico – rivelatore per una interpretazione di avvenimenti presenti o futuri o per avere consigli di comportamento, un po’ come i messaggi delle sibille di classica memoria.

 

IL Sardus Pater

 

Dalle forze oscure della natura si passa ad una personalizzazione divina:

I santuari erano dedicati o erano quasi “presieduti “ da una forza divina che agiva per il tramite dei sacerdoti che nel caso dei riti ordalici esercitavano il potere giudiziario.

Attorno o nei pressi dei santuari c’erano luoghi dove si svolgevano gare atletiche (ginnasi) e tribunali.

Il dio attraverso i suoi rappresentanti presiedeva alle sentenze: era un dio dell’acqua, dispensatore di pioggia e benessere.

Probabilmente dio unico, al di sopra altre eventuali divinità o forze della natura.

 

Taramelli e il terzo pozzo

 

Il taramelli che fu sovrintendente archeologico per il primo trentennio del secolo scorso si occupò personalmente di molti scavi e ricerche risultate fondamentali per lo studio della antica civiltà sarda, si occupò anche di Matzanni che visitò nell’aprile del 1916.

Se i santuari nuragici, sul modello di quello di Serri e di Antas dovevano servire da centro spirituale e civile di una vasta area, quello di Matzanni doveva “servire “ la zona della pianura che va verso il cagliaritano. Matzanni era in poche parole fuori dell’influenza di Antas e del fiume sacro: aveva un proprio bacino di riferimento in pianura.

Il Taramelli rimase colpito dalla bellezza del paesaggio “la regione ha un ampio dominio d’orizzonte sul piano campidanese e sulla valle del Cixerri.”Il sito, col suo significato religioso richiama analoghe alture del paese di Canaam.

La zona era stata già rovinata dalla ingordigia degli uomini che l' avevano completamente disboscata ma l’autore nota i pochi tronchi e ceppi inariditi “ che attestano l’antica ricchezza di boschi di lecci e di querce “

Il Taramelli stranamente non riuscì a trovare le tracce del tempio punico che pure non sono tanto distanti dai pozzi, in compenso trovò il terzo pozzo di cui stimò la distanza dagli altri due in 500 metri (ne dista circa 300).

Notò che le tracce dei monumenti erano meno evidenti rispetto alla segnalazione del Lovisato, ormai preda dei “cercatori di tesori” e vittime del “vandalismo dei pastori”.

Il primo pozzo è ormai in rovina pieno di melma, così pure la scala che è franata e rovinata.

Trova il secondo pozzo ormai inaccessibile sconvolto nell’interno e reso inaccessibile dalla scala colma di massi con una parete ancor più franata. L’interno di questo pozzo sembra colmo d’acqua.

IL Taramelli indica con precisione il punto dove sarebbe stato trovato il bronzetto donato al Lovisato: nel piazzaletto davanti all’ingresso della scala-

Il colore verde dell’argilla notato dal Lovisato avrebbe dovuto a residui bonzei consumati e disciolti nell’acqua.

L’autore non formula sul fatto inconsueto di tre pozzi in un unico luogo: saranno gli scavi a dire l’ultima parola su questi “modesti” elementi monumentali.

Scavi che ancora oggi stentano a prender corpo mentre avanza inarrestabile il degrado dei monumenti dovuto al tempo e agli uomini.

Un reperto che attira l’attenzione del Taramelli è l’altarino o pilastro betilico ornato di cui parla il Lovisato che al tempo della sua visita a Matzanni è ormai scomparso.L'altarino avrebbe evidenti analogie con simili oggetti -elementi di culto micenei.

 

 

Le ricerche di F.Sedda

 

All’inizio degli anni 70 F. Sedda svolge le sue ricerche per definire e catalogare i siti archeologici sul foglio255.Q.II.N.O della carta d’Italia corrispondente ai territori dei comuni di Vallermosa, Villacidro, in parte Villasor, Decimoputzu ecc..

Fece delle misure accurate degli elementi visibili dei pozzi, specie del pozzo “A” e del Pozzo “C”

Trascurando il pozzo “B” ancora ostruito e difficile da esaminare che tuttavia assimila al pozzo “A”.

Il Sedda ha tentato di datare i monumenti dando loro un “alto indice di arcaicità” tenendo conto dell’aspetto generalmente rozzo dell’opera, dalla monumentalità delle proporzioni e dall’alto rapporto altezza diametro delle camere.

Nota che specie nel pozzo “A”è stato adottato il taglio obliquo dei conci, che sostituisce in parte la tecnica dell’aggetto.

In conclusione indica nel pozzo “C” quello più arcaico perché negli altri due pozzi si notano tentativi di miglior rifinitura.

 

I santuari Nuragici

 

I santuari nuragici non erano caratterizzati solo dalla presenza dei pozzi sacri: questi ultimi erano probabilmente solo uno degli edifici presenti all’interno dell’area “sacra”.

I santuari erano dei luoghi posti in zone strategicamente studiate dal punto di vista geografico.La posizione di alcuni di loro indica chiaramente un sito dominante e facilmente difendibile, (1) come un centro di raccolta di pellegrini, visitatori e abitanti di una vasta zona quasi una provincia, che faceva riferimento a loro.

In questi luoghi avvenivano degli incontri zonali a carattere ricorrente

In occasione delle feste aventi probabilmente data fissa; ma non mancavano certamente occasioni straordinarie in cui il raduno aveva uno scopo preciso dato da circostanze contingenti.

Dalle testimonianze degli scrittori antichi sappiamo che in Sardegna c’ erano dei luoghi centro della vita sociale in cui erano presenti tribunali, ”centri sportivi”denominati Ginnasi, e templi.

Queste categorie di edifici vanno naturalmente interpretate alla luce dei ritrovamenti e degli studi sulle caratteristiche della edilizia nella Sardegna antica.

Oltre a queste tre tipologie costruttive che rivelano attività che non si potevano certamente svolgere in tempi brevissimi, dovevano esistere, negli stessi luoghi, delle costruzioni-ricovero o abitazioni stabili sia ad uso dei sacerdoti che dei pellegrini convenuti.

Nei santuari già almeno in parte conosciuti e studiati sono evidenti i resti degli edifici e delle strutture usate durante i raduni per le cerimonie e altro.

Nel santuario di S Vittoria di Serri, ad esempio è ancora visibile il muro che difendeva l’accesso dall’esterno della Giara. Sono inoltre presenti altri edifici, oltre il pozzo sacro.

Ancora relativamente ben conservato appare un recinto di circa 11 metri di diametro, esso ha una unica apertura volta verso sud, all’interno, lungo il muro si trova uno zoccolo che fungeva da sedile continuo protetto da una copertura di lastre di pietre che sporgevano dal muro.

All’interno, appena dentro si trova un bacile in pietra che ricorda molto l’acquasantiera all’entrata delle nostre chiese: forse la funzione era simile.Andando avanti, poco prima del centro il sedile si interrompe e al suo posto una bacinella trapezoidale con davanti un cippo e di fianco una ara.

Chiaramente il luogo era destinato a qualche cerimonia sacra o anche ad altro scopo.

Il Pettazzoni attribuisce maggiore importanza alla funzione di raduno suggerita dai sedili, e le funzioni sacre che certamente si svolgevano probabilmente avevano carattere propiziatorio prima o durante la riunione.Il bacile sembra potesse servire per raccogliere il sangue della vittima uccisa sul cippo e poi bruciata in sacrificio sull’ara.

Quale fosse la funzione principale dell’edificio non è assolutamente certo: poteva anche trattarsi del tribunale che poi continuava il suo cerimoniale nel pozzo sacro non lontano.

Interessante appare poi quello che viene definito “ recinto delle feste” 

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